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Tra i numerosi spunti di riflessione che la sentenza n. 2616 del 2024 del Consiglio di Stato suscita, meritano di essere segnalati quelli che attengono alla legittimazione a ricorrere delle associazioni appellanti, soccombenti in primo grado proprio perché reputate dal TAR Molise prive di tale requisito e vittoriose invece – in rito e nel merito – nel giudizio di secondo grado.

All’origine della controversia v’è un lascito testamentario – effettuato da un cittadino in favore di un Comune – con la finalità esclusiva di realizzazione di un ospedale preposto alla cura dei poveri e degli infermi nonché dei malati di tubercolosi.

Il Comune beneficiario, accettato il lascito, prima aveva alienato alcuni beni in esso compresi per destinare le somme così ottenute alla risistemazione di un ex edificio scolastico da destinare a sede di una struttura residenziale per disabili gravi senza adeguato sostegno. Poi, però, il Comune decideva di destinare lo stesso edificio a sede della locale Stazione Base dei Carabinieri.

I provvedimenti che avevano determinato la distrazione dell’edificio dalla finalità indicata nel lascito (accettato dal Comune) venivano gravati innanzi il TAR Molise da due associazioni e un comitato, ma il ricorso era dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione ad agire delle ricorrenti.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in esame, ha annullato e riformato la pronuncia di primo grado reputando l’associazione e il comitato appellanti senz’altro muniti di tale legittimazione.

Per giungere alla conclusione della sussistenza della legittimazione a ricorrere in capo agli appellanti, il Consiglio di Stato richiama il principio di diritto fissato nella sentenza n. 6/2020 dell’Adunanza Plenaria ove, in linea con gli artt. 2 e 118, comma 4, Cost., era stato affermato che “gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie”.
Nello specifico caso al suo esame, il Consiglio di Stato ha sottolineato, anzitutto, che le appellanti annoveravano tra i loro scopi anche la tutela di soggetti deboli con disabilità.

Poi, con riferimento ai requisiti di stabilità e continuità della rappresentatività delle medesime associazioni, ha reputato non decisiva la costituzione a ridosso della proposizione del ricorso.

Ad avviso dei Giudici di Palazzo Spada, infatti, valorizzare negativamente tale elemento equivarrebbe a impedire “in modo irragionevolmente discriminatorio a formazioni sociali di nuova costituzione di accedere agli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione per la tutela di situazioni giuridiche protette”.

Il principio della non necessaria preesistenza dell’associazione all’adozione dei provvedimenti ch’essa impugna costituisce espressione di un più recente orientamento, che va gradualmente consolidandosi, in virtù del quale la maggiore o minore “anzianità” di costituzione dell’associazione ricorrente non si ritiene decisiva ai fini della sua legittimazione a ricorrere.
Già nella precedente sent. n. 7956 del 2023, del resto, il Consiglio di Stato aveva stabilito in termini assai chiari che escludere dal perimetro dei legittimati ad agire tutte le formazioni che sorgono proprio “in occasione” di determinati eventi lesivi, vorrebbe dire escludere la gran parte degli organismi associativi dalla possibilità di invocare tutela giurisdizionale, il che risulterebbe in contrasto, tra l’altro, anche con l’art. 118, comma 4, Cost. L’obiettivo di favorire l’autonoma iniziativa di associazioni di cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale, infatti, sarebbe profondamente depotenziato se si negasse aprioristicamente a tali enti esponenziali di far valere in giudizio la lesione degli interessi ch’essi curano.

La pronuncia in esame, però, aggiunge a tali princìpi un quid pluris, che discende proprio dalla peculiarità della vicenda dalla quale la controversia origina e si connette, quindi, al merito del giudizio.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, nel caso di specie il ruolo del Comune era di “mero esecutore della volontà testamentaria diretta alla comunità locale anche sovracomunale”. In quest’ottica, la variazione della destinazione d’uso dell’immobile precedentemente prescelto dal Comune ai fini dell’attuazione della volontà del de cuius è reputata immediatamente lesiva delle finalità sociali perseguite allora dal testatore “ed ora dalla parte appellante”.

Nel caso di specie, quindi, la coincidenza fra le finalità perseguite dagli enti appellanti e quelle indicate dal de cuius nel lascito fornisce un ulteriore argomento a supporto della legittimazione ad agire dei primi.

All’associazione e al comitato appellanti, infatti, sembra essere indirettamente riconosciuta anche la legittimazione a vigilare sulla violazione della volontà “di chi non è più in grado di far valere le proprie ragioni” (così si legge nella pronuncia), se tale violazione causi lo sviamento da finalità che l’Amministrazione si è impegnata a perseguire e che l’ente esponenziale, seppur appena costituito, specificamente tutela.

Mi occupo di formazione e supporto giuridico per gli enti locali in tema di affidamento e gestione di servizi alla persona e alla comunità.

Roberto Onorati
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Progetto Autonomie Locali

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