Valorizzare il patrimonio culturale comporta una idea di “valore”.

Il Codice dei beni culturali e ambientali (D.Lgs 42/2004) sancisce che la valorizzazione del patrimonio culturale è diretta a promuoverne la conoscenza e ad assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica «al fine di promuovere lo sviluppo della cultura». Aggiunge che, tale valorizzazione, va «attuata in forme compatibili con la tutela e in modi tali da non pregiudicarne le esigenze» (art.6); che «la Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale» (art. 29.3); che l’iniziativa privata nella valorizzazione è «attività socialmente utile e ne è riconosciuta la finalità di solidarietà sociale» (art. 111.4).

La valorizzazione dei beni culturali di proprietà pubblica (art. 115) può avvenire in forma diretta, con strutture interne alle amministrazioni, o indiretta, tramite concessione a terzi mediante procedure di evidenza pubblica e previa valutazione comparativa di specifici progetti.

La questione centrale del rapporto tra Stato e società nel momento storico che stiamo attraversando è il superamento della dicotomia fra sfera pubblica e sfera privata e la definizione di nuove relazioni. Il “civismo solidale”, che si esprime attraverso Patti di collaborazione con le istituzioni, è fondato nella sussidiarietà detta orizzontale, di cui dà una prima formulazione l’art. 118.4, introdotto in Costituzione nel 2001. Esso dispone che Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni (ossia la Repubblica in tutte le sue istituzioni elettive, secondo l’elenco di cui all’art. 114.1) «favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». L’ idea è che soggetti giuridicamente privati – singoli, formazioni sociali, reti, associazioni, fondazioni, famiglie, imprese ecc.- possano avere ed esprimere capacità autonoma di agire nell’ interesse generale, e che a tale capacità corrisponda il compito delle istituzioni pubbliche di favorirne e sostenerne l’azione.

Il Codice del Terzo settore (D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117) regola gli Enti (organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative e imprese sociali, fondazioni di varia natura), i quali «esercitano finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale» (art. 4.1) nei campi dettagliati all’art. 5 fra cui rientrano (punto f) «interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio», effettuati ai sensi del Codice dei beni culturali e ambientali.

In un ordinamento fondato sul diritto di proprietà, i beni attendono cura diretta al loro buon mantenimento solo da parte del proprietario, privato o pubblico che sia. Può dunque apparire paradossale trovare persone che si attivano alla cura di beni che non sono loro, e vi è da chiedersi a che titolo possono intervenire nella cura di beni di cui – come è nel caso della maggior parte dei beni culturali – non hanno la proprietà o per cui non dispongono di concessioni di affidamento o di servizio.

Interviene qui, oltre alla legislazione nazionale, la Convenzione Quadro del Consiglio d’Europa  definita a Faro – Portogallo nel 2005, entrata in vigore nell’ottobre 2011, firmata dall’Italia nel 2013, e ratificata dal Parlamento italiano il 23 settembre del 2020.

La Convenzione si fonda sul presupposto che la conoscenza e l’uso dell’eredità culturale rientrino pienamente fra i diritti umani, secondo la Dichiarazione Universale del 1948. Connota come “patrimonio culturale” l’insieme delle risorse ereditate dal passato, che «indipendentemente da chi ne abbia la proprietà, sono riflesso di valori e fattori di identificazione delle comunità sociali». Definisce “comunità di patrimonio” «l’insieme di persone che attribuiscono valore a quel patrimonio e intendono trasmetterlo» (art. 2).  Le comunità patrimoniali così intese sono varie: in primo luogo territoriali; permanenti e stabili, come le istituzioni di tutela; transitorie e fluide (si pensi alla eterogeneità dei visitatori che frequentano luoghi e beni); vocazionali e sussidiarie, quando l’attivazione sociale e civile genera risorse aggiuntive a servizio della conservazione e fruizione di beni, a cui non sarebbe possibile provvedere in maniera altrettanto adeguata. Possiamo dire che il rispetto e la cura con cui la società esterna più vasta è disposta a partecipare alla salvaguardia dei beni del patrimonio, intesi come beni comuni in cui ci si riconosce, sono una risorsa non secondaria né marginale dell’efficace salvaguardia.

Mi occupo di formazione e supporto giuridico per gli enti locali in tema di affidamento e gestione di servizi alla persona e alla comunità.

Roberto Onorati
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Progetto Autonomie Locali

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