Il Consiglio di Stato (sez. VI, 07.08.2024 n. 7020) interviene sul concetto di onerosità/gratuità delle convenzioni con il volontariato, ritenendo che solo il rimborso spese a pie’ di lista che, in particolare, escluda la remunerazione, anche in maniera indiretta, di tutti i fattori produttivi e comprenda unicamente le documentate spese vive, correnti e non di investimento, incontrate dall’ente, consente di affermare la gratuità della prestazione del servizio e, dunque, di postulare la estraneità all’ambito del Codice dei contratti pubblici.
E’, in special modo, necessario che sia acclarata l’assenza di qualunque remunerazione a carico del soggetto pubblico affidante, quale che ne sia la formale denominazione e qualunque sia il meccanismo economico o contabile anche indiretto, al personale volontario o dipendente e direttivo dell’ente e, altresì, che non ricorrano forme di forfetizzazione dei rimborsi né di finanziamento a fondo perduto, né di finanziamento, acquisto o contributo in conto capitale.
Solo la sicura esclusione di ogni possibile ripianamento con risorse pubbliche del costo dei fattori produttivi utilizzati dall’ente e l’assenza di alcuna forma di incremento patrimoniale anche se finalizzato al servizio stesso dimostrano, infatti, l’oggettiva assenza dell’economicità e, dunque, determinano l’ascrizione del servizio entro la categoria dei servizi non economici di interesse generale, con conseguente fuoriuscita dall’ambito oggettuale del Codice dei contratti pubblici.
Tale interpretazione del concetto di gratuità/onerosità ben risponde, ad avviso del Collegio, all’esigenza di evitare l’abuso del ricorso agli affidamenti ad enti non profit, contro il quale la Corte di Giustizia ha messo in guardia con la sentenza resa nella causa C-50/2016, laddove essa evidenziava che simili affidamenti debbono rispondere anche all’esigenza di contenere i costi della finanza pubblica e, in tal modo, di mantenere l’efficienza del sistema in generale, ed anche che le associazioni di volontariato possono avvalersi di dipendenti solo “nei limiti necessari al suo regolare funzionamento”.
Tenuto conto di quanto già statuito dalla CGUE nella sentenza resa in causa C-50/2016, la conformità alla normativa europea del combinato disposto del D. L.vo n. 50/2016 e del D. L.vo n. 117/2007, come rinveniente dal parere reso da questo Consiglio di Stato n. 2053/2018, si impone con evidenza e tale da poter essere condivisa, ad avviso del Collegio, agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri nonché alla stessa Corte di Giustizia, anche per la ragione che non constano precedenti, della Corte di Giustizia, di questo Consiglio di Stato o di giudici di altri Stati membri di segno opposto. Per tale ragione il Collegio non ritiene necessario sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea alcun quesito pregiudiziale avente ad oggetto l’indicato disposto normativo.