L’articolo 6 del nuovo codice dei contratti pubblici consente alla pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di solidarietà e sussidiarietà, di avviare modelli organizzativi di amministrazione condivisa, privi di rapporti sinallagmatici, con gli enti del Terzo settore (Ets).
Si tratta di una previsione normativa che, recependo l’impostazione della Corte costituzionale (sentenza 131/2021), ammette la coesistenza di due modelli organizzativi alternativi per l’affidamento dei servizi: l’uno fondato sulla concorrenza e che risponde al Codice dei contratti pubblici e l’altro, sulla solidarietà e sussidiarietà e che richiede, invece, l’applicazione delle regole predisposte ad hoc dal Codice del Terzo settore.
Un tipo di affidamento, rivolto agli Ets, che non rappresenta una deroga al modello generale basato sulla concorrenza bensì uno schema da coordinare con il primo, puntando, quindi, a superare il precedente orientamento del Consiglio di Stato del 2018 con cui si era dubitato della compatibilità delle nuove forme di amministrazione condivisa previste dal Cts (articoli 55-57) con le disposizioni europee.
Se con tale novità viene avallata l’alternatività tra codice dei contratti pubblici e codice del Terzo settore, non può non evidenziarsi come questa ne esca ancor più rafforzata dalla formulazione del secondo periodo dell’articolo 6 citato con cui viene precisato che gli istituti di affidamento diretto previsti dal Codice del Terzo settore (articoli 55-56-57) non rientrano nel campo di applicazione del Codice dei contratti pubblici.
Trova in questo senso conferma l’orientamento espresso dall’autorità nazionale anticorruzione che con le linee guida 17/2022 aveva specificato come esulano dalla disciplina dei contratti pubblici, anche se a titolo oneroso, le forme di co-programmazione, co-progettazione e le convenzioni con Ets. Si riconosce la natura di interesse generale delle attività svolte dal Terzo settore e quello che è il valore generato dell’amministrazione condivisa quale modello organizzativo fondato sulla comunanza di interessi tra il Terzo settore e le Pa e, dunque, sulla condivisione della funzione amministrativa.
In questo modo, quindi, si configura uno spazio giuridico distinto, governato da presupposti, discipline procedimentali, relazioni giuridiche e obiettivi differenti da quelle del Codice dei contratti pubblici.
Si conferisce al Cts un ruolo centrale attraverso cui disciplinare le relazioni fra enti del Terzo settore e pubblica amministrazione e contraddistinto da un insieme di regole che risponde a logiche e criteri diversi da quelli del Codice dei contratti pubblici.
E proprio grazie a questo chiarimento contenuto finalmente nel Codice dei contratti pubblici, l’auspicio è proprio quello di veder una diffusione sempre più massiva dell’utilizzo degli strumenti della co-programmazione e co-progettazione da parte delle realtà territoriali. Se fino ad ora Comuni e Regioni si sono trovate nella difficoltà di comprendere quale fosse la disciplina più appropriata da applicare nel caso di rapporti con Ets, con il nuovo Ccp si garantisce l’applicazione di misure appropriate, quali quelle del Cts, in grado di affermare un coinvolgimento “attivo” dell’Ets, con tutti i connessi benefici in termini di apporto conoscitivo dei servizi sociali.
Se da un lato l’affermazione dell’alternatività tra Codice del terzo settore e Codice dei contratti pubblici rappresenta una conquista di non poco conto, dall’altro la formulazione dell’articolo 6 potrebbe destare non poche perplessità con riguardo alla terminologia utilizzata. Primo fra tutti il riferimento alla «spiccata valenza sociale» che dovrebbe consentire di contrassegnare le attività svolte dagli enti del terzo settore e dare la possibilità alla pubblica amministrazione di apprestare, in relazione alle stesse, moduli organizzativi di amministrazione condivisa con gli enti del terzo settore.
Una terminologia mai usata nel Codice del terzo settore per identificare le attività di interesse generale svolte dagli stessi enti e che rischierebbe di limitare l’ambito applicativo dell’amministrazione condivisa solo a determinate attività quali ad esempio quelle legate agli interventi e servizi sociali (articolo 5, comma 1, lettera a).
In tal senso, bisognerebbe riconoscere la valenza sociale a tutte e 26 i settori di attività come individuati dal Codice del terzo settore senza alcuna restrizione. Ma ci sono anche altre questioni interpretative legate all’articolo 6. A destare ulteriori perplessità è la precisazione contenuta nella norma che, per contrassegnare i predetti moduli, richiede l’assenza di rapporti sinallagmatici. Un concetto che le disposizioni del Cts in materia di co-programmazione, co-progettazione e convenzioni non menzionano. In questo senso, quindi, la terminologia inserita potrebbe essere interpretata o come una specificazione superflua, inserita per contrapporre i predetti moduli all’onerosità che è propria degli appalti, oppure come termine per rimarcare l’esistenza di moduli organizzativi di amministrazione condivisa che, in quanto sinallagmatici, non sono riconducibili al Codice del terzo settore. Un’opzione, questa, che allo stato non troverebbe alcun fondamento nel diritto positivo e, anzi, sarebbe in contrasto con l’evoluzione giurisprudenziale emersa con riferimento all’articolo 55 del Codice del terzo settore.
Evoluzione di cui la relazione illustrativa al Codice dà, peraltro, conto citando la Corte costituzionale 131/2020 e il parere del Consiglio di Stato 802 del 3 maggio 2022. Il sinallagma, nell’amministrazione condivisa, c’è e deve esserci, consistendo nell’arricchimento bilaterale: l’amministrazione acquisisce dal Terzo settore gli elementi per programmare un servizio o pianificare un intervento, l’ente amplia la sua rete in funzione ausiliaria ai pubblici poteri. Entrambi hanno uno scopo, non lucrativo, compartecipando una funzione amministrativa e pertanto il contratto non è necessariamente “gratuito”. Varrebbe perciò la pena chiarire questi aspetti per evitare ulteriori questioni di carattere interpretativo. Sarebbe bastato specificare l’estraneità del Codice dei contratti pubblici agli istituti di affidamento previsto dal Codice del terzo settore.