Nel soddisfare le proprie esigenze, la pubblica amministrazione tende sempre più a esternalizzare l’attività. Piuttosto che autoprodurre ciò di cui ha bisogno, la pa si rivolge a imprese private, con cui instaura un rapporto di scambio: la pubblica amministrazione remunera i soggetti di cui si avvale e riceve come “corrispettivo” la fornitura dei servizi necessari o la gestione di beni comuni, attraverso la selezione degli aggiudicatari, all’esito delle procedure di gara stabilite dalla legge.

A questo modello non sfuggono gli enti del Terzo settore.

A seguito della normativa europea sulla concorrenza, i rapporti tra pubblica amministrazione ed enti del Terzo settore sono stati tradizionalmente impostati nelle forme dell’appalto di servizi in regime di concorrenza. In tal modo, gli enti del Terzo settore si sono trovati ad agire in un contesto potenzialmente assai competitivo, spesso rivestendo il ruolo dello “sfavorito” nel confronto con imprese ben più strutturate.

Questa scelta politica, principalmente votata al risparmio dei costi e al favore per le pratiche concorrenziali, porta con sé alcune conseguenze problematiche.

Per un verso, gli enti del Terzo settore hanno visto compressa la loro capacità di iniziativa, specialmente nel caso delle piccole realtà che sono immediata espressione della società civile di piccole dimensioni, come, per esempio, le organizzazioni di volontariato. La frequente esclusione dei piccoli enti del Terzo settore dal rapporto con la pubblica amministrazione impedisce, infatti, di “mettere a reddito” il patrimonio di informazioni e conoscenze da loro maturato nella quotidiana esperienza “gomito a gomito” con le persone. Né questa competenza e vocazione può essere rintracciata nell’attività di un’impresa, abitualmente orientata da logiche di profitto che mal si conciliano con situazioni nelle quali domina la povertà, la disabilità o la necessità di integrazione sociale.

Di fronte al valore aggiunto di pratiche collaborative e a bisogni elementari che diventano sempre più urgenti e complessi, all’interno del modello concorrenziale si è aperta una “breccia”.

Il codice del Terzo settore ha, infatti, previsto rapporti di collaborazione tra pubblica amministrazione e soggetti privati che superano la logica dell’appalto in regime di concorrenza per adottare un modello di partnership, nel quale pubblica amministrazione e privati progettano e realizzano su un piano paritario gli interventi necessari per rispondere alle esigenze più decisive della società civile. Secondo la formula coniata da una celebre sentenza della Corte Costituzionale (Corte cost., n. 131/2020), questo approccio è abitualmente identificato con l’espressione “amministrazione condivisa”.

La scelta del legislatore si radica nel principio di sussidiarietà orizzontale, sancito dall’art. 118, co. 4, della Costituzione: lo Stato, le Regioni e gli altri enti locali “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. I soggetti privati individuati dal codice del Terzo settore per svolgere con la pubblica amministrazione attività di interesse generale – come la sanità, l’assistenza, l’educazione e l’integrazione sociale – sono gli enti del Terzo settore. Avendo come scopo esclusivo l’utilità sociale e rinunciando alla distribuzione degli utili, gli enti del Terzo settore sono i soggetti più adeguati a condividere l’esercizio di una funzione pubblica.

La Corte Costituzionale è stata molto chiara: le diverse forme di amministrazione condivisa costituiscono un’alternativa autonoma rispetto all’affidamento dei servizi sociali tramite lo svolgimento di una gara e la conclusione di un contratto di appalto. In questa prospettiva, l’innovazione del codice del Terzo settore non rappresenta una deroga al sistema degli appalti, ma configura un tipo diverso di rapporto con la pubblica amministrazione, riservato a enti portatori dei medesimi interessi collettivi che animano l’azione pubblica.

Il principio espresso dalla Corte costituzionale ha trovato conferma dal punto di vista normativo anche nell’art. 6, comma 1, d.lgs 31 marzo 2023, n. 36, che ha emancipato gli strumenti di amministrazione condivisa dal campo applicativo della disciplina sui contratti pubblici.

Esaminando più da vicino il modello, la Corte costituzionale ha individuato il fondamento dell’amministrazione condivisa nella “convergenza di obiettivi” e nella “aggregazione di risorse pubbliche e private” per la “programmazione e progettazione in comune” di iniziative solidaristiche da parte della pubblica amministrazione e degli enti del Terzo settore (Corte costituzionale, n. 131/2020). Le affermazioni della Corte costituzionale echeggiano le espressioni del codice del Terzo settore. Le più importanti forme di partenariato tra pubblica amministrazione ed enti del Terzo settore previste dalla legge sono la co-programmazione e la co-progettazione. La co-programmazione è volta a individuare i “bisogni da soddisfare”, gli “interventi a tal fine necessari”, le loro “modalità di realizzazione” e, infine, le “risorse disponibili” (art. 55, comma 2, codice del Terzo settore).

La co-progettazione è volta alla definizione e alla realizzazione di “specifici progetti di servizio o intervento” per soddisfare i bisogni eventualmente individuati nella fase di co-programmazione (art. 55, comma 3, codice del Terzo settore). Attraverso la co-programmazione, dunque, la pubblica amministrazione e gli enti del Terzo settore si “siedono insieme al tavolo” per definire da un punto di vista progettuale le esigenze emerse in determinati ambiti della società civile e le possibili azioni da realizzare per soddisfarle. La co-progettazione rappresenta, invece, un procedimento al termine del quale la pubblica amministrazione e gli enti del Terzo settore elaborano specifici interventi per la risoluzione dei problemi sociali riscontrati e stipulano una convenzione per disciplinare le attività concordate. Seppure la normativa non preveda che la co-progettazione segua necessariamente ad una fase di co-programmazione, le forme collaborative sembrano essere pensate come due procedimenti tra loro complementari, dal momento che il primo ha vocazione programmatica, mentre il secondo ha natura operativa.

La co-programmazione e la co-progettazione costituiscono un’innovazione sociale anzitutto nel metodo. Quando decide di ricorrere all’esterno per assolvere al proprio compito, la pubblica amministrazione si pone, come già ricordato, in una posizione di preminenza nei confronti dei privati: è il soggetto che identifica la direzione in cui andare, le risorse da utilizzare e cerca dei fornitori, mediante lo strumento dell’appalto. Con il modello dell’amministrazione condivisa, invece, pubblica amministrazione e privati possono collaborare in un rapporto “tra pari” nell’identificazione del bisogno a cui rispondere e delle strategie per rispondere a questo bisogno. In quest’ottica il Terzo settore non è un semplice fornitore di servizi che presta la propria attività sulla base di un contratto di appalto; è, invece, protagonista – insieme alla pubblica amministrazione – delle scelte relative alla programmazione (e cioè delle politiche e delle strategie per realizzare un servizio che risponda a un bisogno delle persone) e alla progettazione (e cioè all’individuazione degli strumenti concreti che consentano di realizzare quanto è stato programmato).

Ponendo una modalità nuova nel ragionare sui bisogni delle persone e sui mezzi che possono servire per il loro soddisfacimento, l’amministrazione condivisa rappresenta la possibilità di alleviare le criticità emerse nell’attuale fase storica, valorizzando il contributo che sia la pubblica amministrazione che il Terzo settore possono offrire. La pubblica amministrazione può avere le risorse che mancano al Terzo settore, mentre quest’ultimo può con maggior puntualità aiutare la prima a individuare i bisogni e gli strumenti per farvi fronte.

Non solo: la pubblica amministrazione può prestare alla società civile la propria reputazione e può ridurre i costi di coordinamento che tradizionalmente ostacolano il perseguimento di una soluzione congiunta tra una pluralità di enti del Terzo settore.

Mi occupo di formazione e supporto giuridico per gli enti locali in tema di affidamento e gestione di servizi alla persona e alla comunità.

Roberto Onorati
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Progetto Autonomie Locali

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