La possibilità di mettere a disposizione delle associazioni non lucrative beni immobili pubblici viene ammessa dalla Corte dei Conti, coerentemente con i principi di contabilità pubblica, poichè la concessione di un bene immobile a titolo gratuito ad un’associazione senza scopo di lucro potrebbe contrastare con il criterio di valorizzazione dei beni immobili secondo il quale questi ultimi debbano essere gestiti con l’obiettivo di costituire una fonte di reddito per gli enti locali.
La valorizzazione economica della proprietà pubblica, di per sé auspicabile per una gestione efficiente del patrimonio, non è un criterio assoluto ma è temperato dal principio della funzione sociale della proprietà il quale, oltre che nella Costituzione, si rinviene in numerosi interventi legislativi come ad esempio l’art 71, comma 2 del D. Lgs. 3 Luglio 2017 (c.d. Codice del Terzo Settore) ai sensi del quale: “Lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. La cessione in comodato ha una durata massima di trent’anni, nel corso dei quali l’ente concessionario ha l’onere di effettuare sull’immobile, a proprie cure e spese, gli interventi di manutenzione e gli altri interventi necessari a mantenere la funzionalità dell’immobile”.
La valorizzazione funzionale dei beni trasferiti dallo Stato agli enti territoriali si aggiunge ad altri princìpi che – in generale – vanno osservati nella gestione dei beni pubblici, ossia quelli euro-unitari, quelli costituzionali (quali il buon andamento e l’imparzialità ex art. 97 Cost.) e quelli previsti dalle fonti primarie (ad esempio, il perseguimento dei fini determinati dalla legge ed il rispetto dei criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza ex art. 1 della L. 7 agosto 1990, n. 241).
Questi principi generali di valorizzazione economica trovano in diverse norme un riferimento agli scopi sociali della proprietà come valore, non necessariamente alternativo, altrettanto perseguibile dagli enti locali nella gestione del beni demaniali. In particolare l’art. 32, comma 8 della L. 23 dicembre 1994 n. 724, nel disporre per i Comuni la determinazione dei canoni annui per i beni indisponibili a valori non inferiori a quelli di mercato secondo un principio prettamente di efficienza economica, lascia una clausola di salvaguardia nella chiusura della norma, disponendo testualmente “fatti salvi gli scopi sociali”.
Come sostiene la giurisprudenza contabile, “non risulta precluso a priori per l’amministrazione l’utilizzo del comodato quale forma di sostegno e di contribuzione indiretta nei confronti di attività di pubblico interesse, strumentali alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 33/2009), ciò in quanto non vi sono nell’ordinamento vigente norme che vietino apertis verbis concessioni in uso gratuito di beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile dell’ente locale.
Le concessioni di per sé sono attributive di un vantaggio nei confronti del soggetto beneficiario e pertanto dovrà trovare necessaria applicazione l’art. 12 della l. 7 Agosto 1990 n. 241 in base al quale: “l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi. L’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1”.
Tale predeterminazione dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi non può che essere contenuta nel regolamento dell’ente locale relativo alla gestione del proprio patrimonio immobiliare, all’interno del quale vi deve essere l’individuazione (e successiva pubblicazione) dei criteri di individuazione dei beneficiari.
La Corte dei Conti conferma questo orientamento ed esprime il principio secondo il quale “la concessione in comodato di beni di proprietà dell’ente locale è da ritenersi ammissibile nei casi in cui sia perseguito un effettivo interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello meramente economico ovvero nei casi in cui non sia rinvenibile alcuno scopo di lucro nell’attività concretamente svolta dal soggetto utilizzatore di tali beni” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 172/2014).
Naturalmente la valutazione e ponderazione tra i vari interessi, e la conseguente scelta di quelli prevalenti, nonché la verifica della compatibilità finanziaria e gestionale dell’atto dispositivo, è rimessa esclusivamente alla discrezionalità ed al prudente apprezzamento dell’ente, che si assume la responsabilità della scelta.
Per la scelta del contraente beneficiario del comodato gratuito la Corte dei Conti ritiene preferibile, tenendo conto del numero di soggetti che potrebbero risultare interessati dall’utilizzo ed impiego del bene in oggetto, una procedura selettiva di natura comparativa, definitiva confronto concorrenziale, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 12 della l. n. 241 del 1990, e dei principi di pubblicità, trasparenza e di imparzialità.
In tale senso, la valutazione motivata del soggetto beneficiario, sulla base delle proposte progettuali presentate, passa dall’accertamento dell’assenza di qualsivoglia finalità di lucro che, secondo la giurisprudenza contabile, va accertata in concreto “verificando non solo lo scopo o le finalità perseguite dall’operatore, ma anche e soprattutto le modalità concrete con le quali viene svolta l’attività che coinvolge l’utilizzo del bene pubblico messo a disposizione” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 716/2012).
Infine, andrà verificato che il soggetto individuato, per lo svolgimento di eventuali attività all’interno dell’immobile ceduto in comodato, non fruisca comunque di contribuzioni pubbliche di qualsiasi genere, che determinerebbero indebite duplicazioni di vantaggi, consistenti nel mancato pagamento dei canoni di locazione all’ente locale e nell’ottenimento di altri contributi (regionali, statali, ecc.) e che non sarebbero vieppiù compensate dall’accollo delle spese di gestione dell’immobile.
Un importante limite posto dalla Corte dei Conti agli enti locali nella concessione di comodati d’uso gratuiti è l’eventuale stato di dissesto dell’amministrazione che in questo caso farebbe prevalere la valorizzazione economica del bene immobile piuttosto che il perseguimento di finalità sociali.
Afferma, infatti, la Corte: “Appare evidente, pertanto, che nell’ambito della procedura di dissesto, che risulta disciplinata da un corpus normativo speciale e di stretta applicazione, la gestione del patrimonio disponibile deve costituire fonte diretta di reddito o attraverso l’imposizione di un canone nella misura massima consentita in relazione al valore del bene ovvero attraverso l’alienazione, ai fini del reperimento della massa attiva necessaria per far fronte alla massa passiva”.
Riassumendo i presupposti ed i requisiti esposti, con efficace sinteticità la Corte dei Conti afferma nelle conclusioni finali: un ente locale, qualora non si trovi in stato di dissesto, può concedere in comodato gratuito un immobile ad un soggetto che non persegua scopi di lucro per l’esercizio di attività di pubblica utilità e con accollo delle spese di gestione dell’immobile medesimo da parte del comodatario nel rispetto dei princìpi euro-unitari, costituzionali, legislativi e regolamentari. In particolare:
1. andrà motivata la compatibilità finanziaria dell’intera operazione posta in essere con la situazione economica dell’ente;
2. andranno evidenziate le ragioni che consentono di ritenere recessivo l’interesse alla ordinaria fruttuosità del bene rispetto al perseguimento di altri interessi pubblici, ritenuti prioritari dall’ente;
3. andrà attivata una procedura selettiva di natura comparativa ispirata ai princìpi generali di pubblicità, trasparenza e di imparzialità, nel rispetto dell’art. 12 della l. n. 241 del 1990;
4. andrà motivata la scelta del soggetto individuato, anche sulla base delle relative proposte progettuali;
5. andrà accertato in concreto che il soggetto individuato non persegua scopi di lucro;
6. andrà verificato che il soggetto individuato, per lo svolgimento di eventuali attività all’interno dell’immobile ceduto in comodato, non fruisca comunque di contribuzioni pubbliche di qualsiasi genere;
7. dovrà rispettarsi l’obbligo di pubblicazione di cui all’art. 26 del D.Lgs. n. 33 del 2013.